In un intervista ad "Agenzia Nova" l'ambasciatore Aleksic ha commentato le recenti tensioni scaturite a seguito degli ultimi provvedimenti del governo di Pristina
Roma, 12 ago 20:40 - (Agenzia Nova) -
"La Serbia è a favore della stabilità nei Balcani occidentali e del dialogo, e non deve esserci più spazio “per le provocazioni”. E’ questa la posizione dell’ambasciatore di Serbia in Italia, Goran Aleksic, espressa nel corso di un’intervista ad “Agenzia Nova”. A pochi giorni dalla tappa di dialogo Belgrado-Pristina, che farà incontrare dopo oltre un anno a Bruxelles il presidente serbo, Aleksandar Vucic, e il premier kosovaro, Albin Kurti, Aleksic ha commentato le recenti tensioni nel nord del Kosovo, scaturite dal provvedimento approvato dal governo kosovaro a fine giugno che impone l’obbligo di reimmatricolazione per le targhe emesse nel nord a maggioranza serba, oltre che la presentazione di documenti d’identità provvisori per l’ingresso in Kosovo al posto di quelli serbi. “Chiariamo una cosa: non è stata la Serbia a provocare le tensioni. Kurti ha deciso unilateralmente di introdurre delle misure discriminatorie che negano il diritto di libera circolazione e violano gli accordi tra Belgrado e Pristina, raggiunti finora nei negoziati sotto l’egida dell’Unione Europea”, ha dichiarato l’ambasciatore.
“Più precisamente, Pristina ha deciso di cambiare a partire dal primo agosto la prassi vigente fino ad oggi secondo cui tutti i cittadini della Repubblica di Serbia possono entrare liberamente con la carta d’identità serba in Kosovo e Metohija, imponendogli invece la necessità di rilascio di un documento d’accompagnamento d’ingresso e d’uscita, e violando in questa maniera l’Accordo di libera circolazione del 2011”, ha detto ancora Aleksic aggiungendo che in questo modo è stata messa a rischio la libertà di circolazione dei serbi del Kosovo e sono stati ridotti i loro diritti già acquisiti. “Pristina ha (anche) imposto il provvedimento secondo cui i serbi e altri cittadini della Repubblica di Serbia in Kosovo e Metohija, pena il sequestro della proprietà privata, devono procedere alla reimmatricolazione delle autovetture con le targhe della ‘Repubblica del Kosovo’, inaccettabili dal punto di vista dello status. Entrambe le decisioni rappresentano una violazione degli accordi del dialogo, ma anche la continua soppressione dei diritti umani dei serbi in Kosovo e Metohija”, ha proseguito Aleksic.
Le tensioni registrate il 31 luglio tra la popolazione serba e le forze dell’ordine di Pristina hanno visto una tregua dopo la decisione, da parte dell’esecutivo kosovaro, di rinviare l’entrata in vigore del provvedimento al primo settembre. In questo modo Pristina ha dato anche ascolto ai ripetuti appelli dell’Unione europea, rivolti alle due parti, per un allentamento della crisi e un ritorno alla calma. L’Alto rappresentante dell’Unione europea, Josep Borrell, ha invitato il presidente serbo Vucic e il premier kosovaro Albin Kurti ad una nuova, urgente tappa del dialogo facilitato da Bruxelles per riavviare i fili dei negoziati. L’incontro, però, non solo nasce da una situazione di massima tensione, ma è anche stato preceduto da dichiarazioni sui media regionali e internazionali, da parte del premier kosovaro Kurti, che paventano il pericolo di uno “scontro armato” e puntano il dito contro i rapporti tra Belgrado e Mosca. In questo contesto, Kurti ha rinnovato la richiesta per il Kosovo di entrare a far parte della Nato, magari con l’iniziale veste di partner nel programma del Partenariato della pace dato che il Kosovo non è riconosciuto da tutti gli Stati membri dell’Alleanza.
“Si tratta dell’ennesimo tentativo di screditare e incolpare la Serbia a fini propagandistici, unicamente sulla base dell’esistenza dei rapporti della Serbia con la Federazione Russa. E’ ovvio che Kurti sta cercando di sfruttare la tragica situazione in Ucraina per fare una campagna contro la Serbia”, ha commentato l’ambasciatore osservando che ipotizzare una “nuova guerra” in Kosovo è “provocatorio” e particolarmente pericoloso. “Kurti parla di 104 esercitazioni militari della Serbia nel 2021, mentre il dato corretto è che la Serbia ne ha svolte 21, di cui 16 eseguite con la Nato, l’Unione europea o Stati membri della Nato. (Kurti) Parla anche del presunto numero delle basi serbe sulla linea amministrativa con la provincia. I dati non sono soltanto errati ma addirittura fuorvianti. Al riguardo, vorrei sottolineare che tutte le attività intraprese dalle Forze armate della Serbia si svolgono in modo trasparente e congiuntamente con i partner della Kfor (la missione Nato in Kosovo), concordate tra i vertici delle forze militari”, ha ribadito l’ambasciatore. A questo proposito Aleksic ha ricordato che l’Italia fornisce, numericamente parlando, il contingente più grande all’interno della Kfor e che, negli ultimi 10 anni, l’Italia ha avuto 9 su 10 comandanti della missione.
L’ambasciatore ha poi ringraziato in particolare i militari italiani che stazionano a tutela del monastero serbo ortodosso di Visoki Decani, patrimonio dell’Unesco. “E’ un caso più unico che raro, nel 21mo secolo, il fatto che un luogo sacro, nel cuore dell’Europa, sia costretto ad avvalersi della protezione di un esercito”, ha poi commentato Aleksic. Riguardo alla tappa di dialogo Belgrado-Pristina che si terrà il 18 agosto a Bruxelles, il diplomatico non ha dubbi su una partecipazione serba “in buona fede, così come fatto finora”. “Belgrado parteciperà ai prossimi colloqui a Bruxelles in buona fede e i negoziati dovrebbero alla fine portare a una soluzione accettabile per entrambe le parti. Per noi la questione più importante è la costituzione dell’Unione delle municipalità serbe, prevista dall’Accordo di Bruxelles del 2013, un punto che Pristina ancora oggi si rifiuta di attuare. Considerati gli annunci che arrivano da parte kosovara sull’introduzione delle misure unilaterali il primo settembre, si evince che l’intero contesto non agevola il dialogo”, ha detto Aleksic.
Il governo di Kurti, secondo il capo della missione diplomatica in Italia, “sta cercando di imporre sull’agenda la questione inesistente del riconoscimento reciproco”, mettendo così a repentaglio lo stesso processo di dialogo. “La Serbia non può, non deve rinunciare e non rinuncerà alla tutela della popolazione serba, ai suoi diritti e interessi nazionali. Ma noi riponiamo delle speranze nel fatto che il dialogo possa avere un’indispensabile dose di pragmatismo”, ha detto Aleksic ribadendo che “non esistono altre soluzioni” al di fuori del dialogo e della cooperazione. Un’ultima riflessione è dedicata alla situazione della popolazione serba in Kosovo. “Dall’inizio del cosiddetto governo di Kurti il numero di aggressioni e attacchi contro la popolazione serba è aumentato del 50 per cento. Pristina ha impedito ai serbi di potersi avvalere, in occasione dell’ultimo referendum e delle elezioni politiche e presidenziali, dei loro elementari diritti elettorali. Ancora oggi, 23 anni dopo (il conflitto), più di 200 mila cittadini serbi e di etnia non albanese sono catalogati come sfollati interni nella Serbia centrale. Da sei anni, infine, Pristina si rifiuta di attuare la sentenza giudiziaria passata nel più alto grado di giudizio che dispone la restituzione di una proprietà di 24 ettari al monastero di Visoki Decani”, ha concluso l’ambasciatore Aleksic."